La Cassazione, con ordinanza n. 13266 pubblicata il 28 maggio 2018, ha rigettato il ricorso di un lavoratore avverso la decisione della Corte d’appello di Roma che, a sua volta, aveva respinto le sue domande di illegittimità del licenziamento intimatogli dal datore di lavoro, in quanto, a detta del lavoratore, egli avrebbe agito controllandolo a distanza, in violazione dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori (L. n. 300/1970) e degli artt.1175 e 1375 del Codice Civile, poiché aveva utilizzato una password universale in dotazione dell’azienda per accedere alla postazione informatica del lavoratore e alla sua casella di posta aziendale, per poi utilizzare quanto dedotto per finalità difensive in giudizio come prova dei motivi del licenziamento che si sostanziavano nel fatto che il lavoratore, violando le direttive datoriali, giocava a Freecell con il computer in ufficio. Il datore di lavoro aveva agito senza il previo accordo sindacale o l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro, ma sulla base di una generica autorizzazione del lavoratore.
Le argomentazioni della Cassazione
A motivo della sua decisione, la Cassazione chiarisce che la ratio dei limiti imposti a livello normativo, sui controlli a distanza dei lavoratori, è da individuarsi nella necessaria circoscrizione delle manifestazioni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro, che possano risultare lesive, per le modalità di compimento che incidono sulla sfera privata della persona, sulla dignità e sulla riservatezza del lavoratore (si vedano in tal senso Cass. 17 luglio 2007 n. 15982; Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722; Cass. 27 maggio 2015, n. 10955), partendo pur sempre dal fatto che, in ogni caso, è anche un diritto del datore vigilare sui beni aziendali estranei alla prestazione lavorativa, sempre nel rispetto della dimensione umana.
Vero è che tale dovuto rispetto della sfera della riservatezza della persona previsto dall’art. 4, secondo comma L. 300/1970 ...