La figura dell’amministratore di fatto è stata elaborata dalla giurisprudenza e dalla dottrina, che si sono orientate verso la sua equiparazione con l’amministratore di diritto ai fini della responsabilità civile e penale.
Sulla figura dell’amministratore si rinvengono disposizioni puntuali nel codice civile (art. 2639 c.c.), in base alle quali un soggetto può essere equiparato all’amministratore di diritto se ne esercita i poteri tipici con caratteri di “continuatività” e “significatività”.
Ruolo e responsabilità dell’amministratore di fatto vengono di seguito esaminati guardando ad alcune pronunce della Corte di Cassazione, che ne mettono in luce:
- l’individuazione (necessaria perché manca una formale designazione);
- la suscettibilità ad essere oggetto di sanzioni per l’attività svolta come amministratore di società od enti.
Aspetti generali
Le regole che disciplinano l’attività degli amministratori, a tutela del corretto svolgimento dell’Amministrazione della società, sono applicabili anche a coloro che si sono ingeriti nella gestione della società senza aver ricevuto da parte dell’assemblea alcuna investitura, neppure irregolare o implicita; in queste ipotesi, i responsabili delle violazioni non vanno individuati sulla base della loro qualificazione formale, ma per il contenuto delle funzioni concretamente esercitate (Cass. Civ., sez. I, 6 marzo 1999, n. 1925).
Come si è detto, l’amministratore di fatto è colui che, pur non essendo formalmente amministratore, esercita i relativi poteri in modo continuativo e significativo. Secondo gli orientamenti giurisprudenziali:
- la “continuità” presuppone una reiterazione nel tempo degli atti di gestione normalmente spettanti all’amministratore di diritto di una società, con una ingerenza sistematica sotto il profilo quantitativo;
- la “significatività” richiede di considerare rilevanti solamente gli atti “tipici”, giustificati dal potere di iniziativa proprio di chi governa una società in vista del suo funzionamento, diretti a conseguire ...