Nozione di ristretta base societaria
Come già espresso in precedenti interventi, la normativa vigente non definisce le società a ristretta base sociale, ovvero a base familiare.
Di norma si fa riferimento alla "ristrettezza" della composizione societaria che determina la formazione di un’unica volontà, tipica di un gruppo ridotto di soci o legato da altri vincoli, quali quelli, per esempio, familiari.
Nel caso di una società di capitali, pur non sussistendo – a differenza di quanto previsto per le società di persone – una presunzione legale di distribuzione dell’utile ai soci, l’appartenenza della società, per esempio, ad una stretta cerchia familiare può costituire, sul piano degli indizi elemento di prova dell’avvenuta distribuzione degli utili in questione.
La legittimità o meno della presunta distribuzione in capo ai soci degli utili non contabilizzati da parte delle società a ristretta base societaria è, da anni, oggetto di un vivace dibattito giurisprudenziale e dottrinario.
La prassi degli uffici finanziari, ampiamente condivisa e legittimata dalla giurisprudenza di legittimità (1) è quella di ribaltare sui soci il maggior reddito accertato in capo alla società, pur in assenza di una minima prova in ordine alla effettiva distribuzione dell’utile stesso (2). La presunzione semplice ex art. 2729 c.c. trova quindi fondamento nella ristretta base azionaria e quindi nella complicità che normalmente lega un gruppo ristretto di soci.
Tuttavia, con precipuo riferimento alla nozione di ristretta base si è registrata anche una timida apertura dei Giudici del Supremo Collegio che, con Sent. 26 novembre 2014, n. 25115, legittimavano la presunzione di distribuzione ai soci degli utili conseguiti alla necessaria dimostrazione, da parte dell’Ufficio della “… sussistenza di una ristrettezza della base sociale «qualificata» …”.