Si tratta delle conclusioni espresse dall’AIDC con la norma di comportamento n. 204, che mettono in luce come, anche dopo le modifiche operate dal DLgs. n. 127/2014, le disposizioni che regolano la procedura di iscrizione alla banca dati VIES si pongono in contrasto con la disciplina unionale, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, almeno per ciò che riguarda gli effetti della registrazione (o della mancata registrazione).
Secondo la normativa interna, la soggettività passiva d’imposta, idonea a giustificare l’applicazione del principio di tassazione nel Paese membro di destinazione del bene o del servizio, con conseguente detassazione nel Paese membro di origine, è collegata, tra l’altro, all’iscrizione del numero di partita IVA nel VIES.
È sufficiente, però, considerare le indicazioni rese dai giudici dell’Unione nella sentenza Euro Tyre, di cui alla causa C-21/16 del 9 febbraio 2017, per poter ritenere che la condizione “supplementare” richiesta dallo Stato italiano non è compatibile sul piano unionale.
Ad avviso della Corte, le Autorità fiscali dello Stato membro del cedente non possono disconoscere il regime di esenzione applicato alle cessioni intraunionali solo perché il cessionario non è iscritto nell’archivio VIES, a meno che sussistano seri indizi che lascino supporre l’esistenza di una frode.
Tale principio si basa sul presupposto che ricorrano le condizioni sostanziali per beneficiare dell’esenzione da IVA applicabile alle cessioni in esame, essendo a tal fine richiesto che il potere di disporre del bene come proprietario sia stato trasmesso all’acquirente e che il venditore provi che tale bene è stato spedito o trasportato in altro Stato membro. Nel caso di specie, è emerso infatti che l’esenzione, di cui all’art. 138, par. 1, della Direttiva n. 20067112/CE, è stata negata per il solo motivo che l’acquirente, al momento delle vendite di cui ...