In occasione della pronuncia n. 17235/2018, la Cassazione ha chiarito le sostanziali differenze tra la fattispecie di reato di cui all’art. 648 ter del Codice Penale (Impiego di denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita), che punisce chiunque si macchi di riciclaggio, ovvero impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo e chi invece, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Quest’ultima condotta integra il reato di autoriciclaggio di cui all’art. 648 ter 1 c.p., introdotto nel Codice Rocco con decorrenza dal gennaio 2015, dall'art. 3, comma 3, L. 15 dicembre 2014, n. 186 «Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio».
Una breve disamina delle ipotesi di reato
Le due fattispecie, assieme al reato di riciclaggio, definiscono ipotesi di reato contro il patrimonio che si pongono in rapporto di specialità rispetto alla più generale fattispecie di cui all’art. 648 c.p. che definisce il delitto di ricettazione.
Da una prima lettura degli articoli, si evince che nell’autoriciclaggio il reo è lo stesso soggetto che, oltre ad intervenire nelle operazioni di ripulitura dei proventi illeciti, impiegando, sostituendo o trasferendo i beni illeciti in attività economiche o finanziarie, ha anche commesso o concorso a commettere il reato presupposto.
Prima dell’introduzione della fattispecie di cui all’art. 648 ter1, infatti, non era possibile ricondurre all’ipotesi di cui all’art. 648 bis o all’art. 648 ter, la condotta di colui che impiegava in proprie attività economiche o finanziarie proventi ricavati dalla ...