Le norme in materia di licenziamento individuale, previste per la generalità dei lavoratori dipendenti, subiscono eccezioni nei confronti di alcune ben precisate categorie di prestatori di lavoro.
Fermo il divieto del licenziamento discriminatorio, nei confronti dei lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari (legge n. 339/1958), il licenziamento non deve necessariamente essere comunicato per iscritto ed è libero di recedere in qualsiasi momento (cd. licenziamento ad nutum). Nello specifico, nel settore del lavoro domestico sono intervenute alcune sentenze che hanno aiutato a definire la disciplina nel merito.
Vediamone alcune.
La disciplina del licenziamento nel lavoro domestico
È nullo il licenziamento intimato alla lavoratrice domestica nel corso del periodo di gravidanza (Trib. Siracusa 9 ottobre 2007) e, in caso di licenziamento illegittimo, nel settore del lavoro domestico non si fa luogo alla reintegrazione. Qualora vi sia un rapporto di lavoro con convivenza il quale preveda anche il godimento di un immobile, una volta intervenuto il licenziamento, sia esso legittimo o illegittimo, il lavoratore è tenuto alla restituzione dell’immobile (Trib. Bologna 26 maggio 2004). Infine, il licenziamento orale della lavoratrice domestica in gravidanza non le consente di ottenere la reintegrazione nel posto, essendo il lavoro domestico escluso dall’ambito di tutela ex art. 18, legge n. 300/1970, bensì il risarcimento dei danni, parametrato alla retribuzione non percepita nei 5 mesi in cui opera, per disposizione di legge e della contrattazione collettiva di settore, il divieto di licenziamento della lavoratrice madre (Trib. Roma 20 ottobre 2015).
Queste sono solo alcune delle sentenze che ci aiutano a definire l’argomento che, col tempo, sta sgombrando il campo dai diversi dubbi sull’applicabilità della legge n. 604/1966.
Volendo approfondire il tema con maggior completezza, è interessante percorrere il pensiero giurisprudenziale della ...