La procedura di trasferimento può essere disposta per far fronte a uno stato di crisi che coinvolge una determinata sede aziendale, per far acquisire nuove competenze a un dipendente, per adibirlo a mansioni nuove in vista di una progressione di carriera ovvero per far fronte ad una disfunzione organizzativa.
Per trasferimento deve intendersi il cambiamento definitivo della sede lavorativa, il che esclude il trasloco nell’ambito della medesima unità produttiva e il trasferimento temporaneo del luogo di lavoro, altrimenti definito trasferta, ipotesi quest’ultima in cui il dipendente rimane comunque assegnato all’originario luogo di lavoro.
Le motivazioni poste a sostegno del trasferimento non devono comunque essere dettagliatamente indicate al lavoratore, tuttavia, se questi ne fa richiesta, il datore di lavoro è tenuto a comunicarle per iscritto e, ovviamente, anche nell’eventuale giudizio intrapreso dal dipendente.
Il trasferimento del lavoratore è quindi un provvedimento del datore di lavoro che prevede il cambiamento del luogo di esecuzione della prestazione del lavoratore in modo definitivo e che coinvolge diversi e delicati aspetti della vita professionale e personale dello stesso (ad esempio il cambio di residenza della sua famiglia).
In alcuni casi tale provvedimento può sfociare in una “risoluzione del rapporto di lavoro” dovuta all’impossibilità o al rifiuto del lavoratore di ottemperare all’ordine del datore di lavoro.
Nota: si evidenzia che anche la casistica dell’inadeguatezza del dipendente rispetto ai compiti affidati è motivo di trasferimento in quanto secondo l’art. 2103 c.c. tale ipotesi è riconducibile a ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Il trasferimento del lavoratore: normativa applicabile
L’azienda, in via generale può decidere di trasferire la propria sede in altro luogo (ad esempio per esigenze relative al contenimento dei costi) e i lavoratori si trovano nelle condizioni di dover scegliere se ...