Il caso
L’Ord. n. 2983 del 31 gennaio 2019 esaminata in questo articolo, definisce il giudizio di divisione occasionato dalla lite tra due fratelli, proprietari in via esclusiva di due porzioni del medesimo edificio, ed in comunione di ulteriori beni connessi a quelli oggetto di proprietà esclusiva, quali il cortile, l’androne, la legnaia, il vano scale. Occorre a tal proposito precisare, in via di fatto, che i beni di proprietà esclusiva derivavano dalla divisione di una cascina originariamente utilizzata come fabbricato unitario, e che dunque i beni invece oggetto della comunione risultavano destinati alla miglior fruizione degli appartamenti per ragioni, anzitutto, strutturali.
Il giudice di prime cure, condividendo il progetto di divisione predisposto dal proprio consulente tecnico, ordinava la divisione dei beni in comunione richiesta da uno dei fratelli. Il giudice d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, affermava invece l’indivisibilità dei beni comuni poiché, stante la loro conformazione attuale, la divisione appariva impedita sia dal divieto, dettato in materia di comunione, di dividere le cose che all’esito della divisione non potrebbero più servire all’uso cui sono destinate (art. 1112 c.c.), sia da quello, dettato invece in materia di condominio, di dividere le cose comuni, con la sola esclusione del caso in cui vi sia il consenso di tutti i condomini e la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino (art. 1119 c.c.).
La soluzione della Cassazione
La Cassazione conferma l’indivisibilità delle cose comuni, fornendo però importanti precisazioni rispetto alla pronuncia d’appello, di cui rafforza e specifica l’iter argomentativo.
In particolare, l’indivisibilità delle cose comuni discende, secondo la Cassazione, dalla corretta qualificazione in diritto dello stato di fatto. Poiché infatti, all’esito di ...