Dati del processo
L’articolato caso oggetto della Sent. n. 2221/2019, della Corte di Cassazione, prende avvio dal ricorso prodotto da una lavoratrice (collaboratrice domestica) nei confronti della sua datrice di lavoro presso la cui abitazione aveva prestato servizio, al fine di ottenere la sua condanna al pagamento delle differenze retributive.
Come si ricava dalla svolgimento del processo della sentenza impugnata, in data 19 ottobre 2009, la lavoratrice aveva presentato alla Commissione di Conciliazione la richiesta di espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione ai sensi dell’art. 410 c.p.c.; le parti venivano convocate per il giorno 29 aprile 2010 allorquando, pur in assenza del legale della ricorrente, si giungeva alla conciliazione della lite con la stipulazione di un accordo transattivo che prevedeva il contestuale pagamento di una somma in favore della lavoratrice, a fronte della sua rinuncia ad ogni altra pretesa ricollegabile al rapporto di lavoro intercorso con la controparte.
Successivamente, in data 4 giugno 2010, la lavoratrice notificava il ricorso volto ad ottenere le differenze retributive alla datrice di lavoro la quale, costituendosi in giudizio, ne eccepiva l’inammissibilità, essendo intervenuta la predetta conciliazione.
All’udienza fissata per la discussione della causa, il difensore della ricorrente chiedeva che venisse applicata per la liquidazione delle spese, ai sensi dell’art. 68 della legge professionale forense di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito in L. 22 gennaio 1934, n. 36, il rito camerale (ovvero l’allora vigente disciplina di cui agli artt. 28, 29 e 30 del R.D.L. 13 giugno 1942, n. 794).
All’esito negativo di primo grado, nell’appello il legale della lavoratrice evidenziava che, avendo le parti transatto la lite dopo il deposito del ricorso ed avendo lo stesso richiesto la trasmissione degli atti al Presidente del Tribunale ...