Il caso
La sentenza in esame (Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 2019, n. 5734) definisce un giudizio in tema di appalto privato, fornendo importanti precisazioni quanto ai rapporti tra i gradi di merito e quello di legittimità, alla ratifica tacita del contratto concluso dallo pseudo-rappresentante, nonché in materia di interessi moratori nelle transazioni commerciali.
Il caso sorge da una lite tra due società, rispettivamente committente e appaltatrice, relativamente all’interpretazione ed all’esecuzione di un contratto di fornitura ed installazione di un impianto destinato all’industria alimentare; in particolare, la società committente lamentava vari vizi della pronuncia del giudice d’appello, con censure tutte puntualmente analizzate nel provvedimento della Cassazione, cui occorre dedicare un pur rapido approfondimento.
Il confine tra la cognizione del giudice di merito e quella della Cassazione
Anzitutto, un primo complesso gruppo di motivi di ricorso investiva l’interpretazione asseritamente imprecisa del giudice di merito delle clausole negoziali convenute tra le parti, nonché la ricognizione asseritamente erronea di elementi concreti della fattispecie.
Si tratta in entrambi i casi di vizi, come prontamente osserva la Suprema Corte, impropriamente denunciati in sede di legittimità e solo surrettiziamente ricompresi nell’ambito applicativo dell’art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c. Va invece precisato che la violazione di legge che giustifica l’intervento del giudice di legittimità è esclusivamente quella che si risolve nell’erronea interpretazione delle (sole) fattispecie astratte, e non (anche) nella non condivisa lettura delle risultanze probatorie o delle emergenze istruttorie: insomma gli apprezzamenti di fatto, anche quando – come nel caso di specie – si risolvano in un’inevitabile valutazione dell’effettiva portata della volontà contrattuale delle parti, sono riservati alla cognizione del giudice di merito. È vero, infatti, che l’art. 360, 1° comma, n. 5, nel testo risultante ...