Un recente decreto della Corte d’Appello di Palermo del 3 maggio 2019, reso all’esito di un ricorso per la revoca di un amministratore di condominio, percorre un itinerario ermeneutico che, pur nella stringatezza dell’argomentazione, appare meritevole di attenta disamina.
Due sono i punti su cui occorre concentrare l’attenzione. Innanzitutto, si deve rilevare che il ricorso viene respinto in ragione della circostanza che il rapporto negoziale tra condominio e amministratore sarebbe cessato. Sotto questo profilo la decisione si inserisce nell’ambito dell’orientamento, sempre più diffuso, secondo cui l’incarico si estinguerebbe ipso iure, ex art. 1722, n. 1, c.c., per scadenza del termine (in tale prospettiva sembra quasi riprendere vigore la minoritaria interpretazione di G. Branca, Comunione. Condominio negli edifici, in Comm. Scialoja-Branca, sub. artt. 1100-1139 c.c., Bologna, 1954, p. 406; nella stessa prospettiva, R. Viganò, Nomina e conferma dell’amministratore condominiale, Milano, 2005, p. 27). Infatti, sono sempre più frequenti le pronunce, rese nei procedimenti di volontaria giurisdizione, che optano per tale ultima soluzione interpretativa. Significativa, in proposito, l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria del 5 maggio 2015 che ha dichiarato inammissibile la richiesta di revoca di un amministratore in regime di prorogatio imperii giacché rivolto ad un amministratore il cui incarico era già scaduto e nella quale si rileva che «l’amministratore cessato dalla carica per scadenza o per altra causa permane e continua ad esercitare i suoi poteri in regime di prorogatio imperii fino a che non verrà sostituito; tuttavia, non può essere revocato perché già cessato dalla carica». Anche l’ordinanza del Tribunale di Roma, 26 novembre 2018 ha respinto la domanda di revoca giacché «il mandato si estingue ipso iure alla scadenza del termine» e, sulla stessa linea, il Tribunale di Roma del 10 marzo 2016 che, nel richiamare la cosiddetta prorogatio imperii, ha ...