La vicenda
L’Ord. n. 13513 del 2019 della sez. II civile della Corte di Cassazione presenta numerosi profili d’interesse, affrontando diverse questioni in materia di distanze tra fabbricati.
Il giudizio sorge a seguito della sopraelevazione di un piano con tetto a falde realizzato, a detta dell’attore, proprietario di un immobile finitimo, in violazione delle distanze legali, in particolare di quelle imposte rispetto a pareti finestrate.
La domanda di condanna a regolarizzare la violazione nel rispetto delle distanze di legge viene contrastata dalla parte convenuta con la deduzione della legittimità urbanistica delle opere eseguite (in quanto debitamente autorizzate dal Comune), con la negazione dell’esistenza di finestre sul muro di proprietà dell’attore (non essendo ritenute tali le aperture ivi collocate, da considerare piuttosto quali luci) e con la vincolatività di patti contenuti nell’atto di divisione stipulato tra i rispettivi danti causa delle parti.
In primo grado, il tribunale, accertata l’illegittimità dei manufatti realizzati in sopraelevazione, pronunzia sentenza di condanna alla rimozione di un tratto di grondaia ed al riposizionamento di un parapetto trasversale posto in prossimità della finestra attorea, nel rispetto della distanza di 1,50 metri, oltre al risarcimento del danno patrimoniale.
L’esito dell’appello, principale ed incidentale, è molto più sfavorevole per la parte convenuta, che viene condannata non già ad opere modificative (ma sostanzialmente conservative) dell’esistente, bensì alla demolizione delle porzioni di sopraelevazione realizzate rispetto alla precedente altezza del fabbricato, nella parte in cui sono collocate ad una distanza inferiore a 10 metri dal confine della proprietà attorea, nonché ad arretrare i manufatti ad almeno tre metri dal filo esterno delle finestre dell’attore.
L’opera viene infatti qualificata, dalla corte territoriale, come nuova costruzione, con la conseguente necessità di rispettare la distanza di 10 metri ...