La Corte Costituzionale (Sent. n. 255/1989), stabilendo detto principio, ha subordinato l’apposizione del patto di prova nei contratti, con lavoratori avviati obbligatoriamente, a tre condizioni:
- svolgimento della prova in mansioni compatibili con lo stato d’invalidità;
- non riferibilità dell’esito della prova a condizioni di minor rendimento dovuto all’invalidità;
- assoggettamento del giudizio negativo, reso dal datore di lavoro, al sindacato di legittimità, ma non di merito, dell’Autorità Giudiziaria.
Anche con riferimento al lavoratore invalido il datore di lavoro è esonerato dall’obbligo motivazionale del giudizio di non superamento della prova; l’onere della prova del motivo illecito del recesso incombe sul lavoratore (cfr. Cass., Sent. n. 11633/2002).
Altresì, nel patto di prova con lavoratore invalido è ammessa la specificazione delle mansioni "per relationem" (cfr. Cass., Sent. n. 16587/2017).
Sempre con riferimento ai lavoratori avviati obbligatoriamente, la Suprema Corte ha ritenuto ammissibile anche il richiamo a una pluralità di mansioni o profili professionali della contrattazione collettiva, a condizione, però, che siano "tutte precisate in modo non generico, messe in relazione non già ad una sola prestazione lavorativa, ma a due o più possibili prestazioni" (cfr. Cass., Sent. 7 marzo 2000, n. 2579) o anche il mero rinvio alla categoria lavorativa prevista dal contratto collettivo "poiché permette l’assegnazione del lavoratore ad uno dei plurimi profili rientranti in esso, sì da consentire maggiori opportunità di utilizzazione del lavoratore in azienda, in specie se affetto da una minorazione di salute" (cfr. Cass., Sent. 16 gennaio 2015, n. 665). In ogni caso, si deve precisare che nell’ambito dell’avviamento obbligatorio al lavoro, la "specificità dell’indicazione delle mansioni in cui effettuare l’esperimento lavorativo in prova va valutata con ...