La giurisprudenza ha trattato il furto di acqua sanzionandolo in modo severo e, in caso di allaccio abusivo all’acquedotto, ha riconosciuto la sussistenza dell’aggravante della violenza sulle cose (art. 625, n. 2 c.p.), che comporta la procedibilità di ufficio del reato, altrimenti non procedibile in assenza della tempestiva presentazione di una querela da parte del legale rappresentante dell’ente idrico. La normale tecnica difensiva consiste, oltre che nella negazione della commissione del reato, nella contestazione della ricorrenza della predetta aggravante, in modo da chiedere l’assoluzione per mancanza della presentazione di una rituale e tempestiva querela.
Inoltre il riconoscimento della predetta aggravante comporta un aumento di pena e l’allungamento dei termini di prescrizione, ai sensi dell’art. 157 c.p. La Corte di Cassazione (Sent. n. 37321/2019) ha trattato tale problematica ed ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata che era stata condannata per il furto di acqua.
In particolare le era stato contestato di avere attinto illecitamente acqua dall’acquedotto comunale, mediante l’inserimento di una tubatura agganciata alla presa idrica della zona, con effrazione della medesima, e con la posa di tubi flessibili posti al servizio della sua abitazione, senza avere sottoscritto alcun contratto di fornitura con l’ente idrico.
La ricorrente affermava che, contrariamente a quanto statuito dal giudice di appello, non ricorreva l’aggravante della violenza sulle cose (art. 625, n. 2, c.p.), bensì l’aggravante del mezzo fraudolento. La Corte di Cassazione affermava la validità della motivazione della Corte di Appello, che ravvisava l’aggravante della violenza sulle cose, poiché l’allacciamento abusivo era stato realizzato con l’effrazione della rete idrica, mediante l’allentamento delle valvole predisposte per evitare la dispersione dell’acqua della rete idrica. Per la Corte di Cassazione la predetta aggravante sussiste qualora l’agente, per commettere il reato, ...