Mobbing
La presente ordinanza della Cass. civ., n. 25351 del 2019 rientra nella diffusa elaborazione giurisprudenziale del fenomeno mobbing, che comporta, per il datore di lavoro, numerosi profili di responsabilità giuridica, non solo quando egli è l’autore materiale delle vessazioni, ma anche nel caso in cui tolleri fenomeni di “mobbizzazione” da parte di altri dipendenti. Gli effetti delle condotte di mobbing può assumere, come nel caso in esame, rilevanza civilistica risarcitoria alla stregua dell’art. 2087 c.c., il quale statuisce che il datore di lavoro è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Il mobbing, in tale prospettiva, configura un fenomeno potenzialmente idoneo a realizzare l’integrale e quasi perfetta violazione di tale disposizione.
Come osservato dalla Corte Costituzionale nella Sent. n. 359/2003, pur nell’attuale assenza nel nostro ordinamento giuridico di una disciplina a livello di normazione primaria avente ad oggetto specifico il mobbing, i giudici sono stati chiamati più volte a pronunciarsi in controversie in cui tale fenomeno entrava a volte come fonte della pretesa al risarcimento del danno biologico — per patologie, soprattutto psichiche, che si affermavano causate da comportamenti vessatori e persecutori subiti nell’ambiente di lavoro da parte del datore di lavoro o di uno o più colleghi — a volte come elemento di valutazione di atti risolutivi del rapporto di lavoro, la cui qualificazione si faceva dipendere dall’accertamento di determinate condotte integranti il fenomeno in questione. La giurisprudenza ha, prevalentemente, ricondotto le concrete fattispecie di mobbing nella previsione dell’art. 2087 c.c. che, sotto la rubrica «tutela delle condizioni di lavoro», contiene il precetto secondo cui «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure ... ...