Il caso
La Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino, condannava l’imputato, amministratore di ben otto condominii torinesi, per il delitto di appropriazione indebita, alla pena di anni uno e mesi dieci di reclusione, oltre a pagamento di una multa pari ad euro 1.500,00 e al risarcimento del danno nei confronti dei condominii.
Nel dettaglio, l’imputato si appropriava, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, ai danni degli otto condominii citati, della complessiva somma di euro 120.279,97, ricostruita tramite indagini peritali sui versamenti effettivi, riscontrando come le spese documentate fossero inferiori alle uscite e che l’avanzo di cassa fosse scomparso.
La situazione contabile dei condominii, inoltre, si palesava davvero caotica e inadeguata, a causa dell’assenza del giornale di cassa e di bilanci consuntivi.
I motivi di ricorso
Avverso la sentenza di condanna, avanzavano ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del suo procuratore speciale, enucleando diversi motivi di doglianza.
Per quel che in questa sede rileva maggiormente, l’imputata contestava alla radice la sussistenza del reato, attraverso due rilievi ermeneutici.
In primo luogo chiariva come spesse volte la distrazione dei fondi di un condominio fosse adoperata per coprire spese degli altri condominii da lui gestiti, escludendosi così un vantaggio personale di tipo economico.
In secondo luogo, rispetto ai prelievi personali, l’imputato invocava la causa di giustificazione putativa dell’esercizio del diritto, in quanto riteneva fosse una propria prerogativa prelevare somme che corrispondessero alla sue pretese creditorie nei confronti dei diversi condominii.
Infine, pur volendo escludere la scriminante putativa, la condotta dell’imputato non era sicuramente volta ad appropriarsi di somme di denaro dei condominii, con ciò dovendosi escludere, quindi, il dolo caratterizzante il delitto contestato,