1. Le parti comuni: dal condominio ai condominii
Il condominio negli edifici fonda, oltre che sul fatto che l'immobile non sia in proprietà esclusiva di un unico soggetto (ovvero in comproprietà indivisa), sulla coesistenza di parti di proprietà individuale e parti di titolarità comune: le une e le altre rappresentano, inscindibilmente valutate nel loro insieme, l'"edificio", quale unità fisico-economica complessa e compiuta, che racchiude ogni porzione, di proprietà comune od individuale, del fabbricato medesimo. In tal senso, peraltro, era già chiara la Relazione al Re, ove si evidenziava come la sostanza dell'istituto andasse ricercata nella compresenza, all'interno dell'edificio condominiale, di parti in proprietà individuale e di parti del'edificio stesso, costituenti "accessori per lo più necessari" delle prime: "con l'art. 341 vengono presi in considerazione gli edifici divisi per piani, per appartamenti o in altro modo, intendendosi in questa locuzione anche gli edifici i cui locali, in tutto o in parte, non siano adibiti ad abitazione, ma destinati ad usi diversi, per es. negozi, uffici, laboratori, ecc. Si enumerano, quindi, le parti dell'edificio le quali debbono rimanere in comunione forzosa pro indiviso, a meno che sussista un titolo di proprietà distinta. Non si è creduto di ammettere che la determinazione delle parti comuni possa essere mutata anche per effetto del possesso".
Dalla tripartizione contenuta nell'art. 1117 c.c. si coglie, dunque, che i beni comuni sono, sostanzialmente, quelli assolutamente necessari ed indispensabili per l'esistenza stessa dell'edificio condominiale ovvero stabilmente destinati all'uso comune da parte dei proprietari dei singoli appartamenti; in questa seconda categoria rientrano, poi, i cd. beni comuni facoltativi o di pertinenza (art. 1117, n. 2, c.c.) e, cioè, porzioni di edificio che, di per sé, non sono indispensabili per l'esistenza del condominio, ma che sono comuni a tutti i partecipanti per la loro ...