Il caso trattato dalla Corte di Cassazione, Sezione 4 penale, nella sentenza n. 4631/2020 è assai interessante per i principi stabiliti in una materia specialistica, relativa al controllo delle acque per accertare la presenza del morbo della legionella, scarsamente esaminata in dottrina ed in giurisprudenza.
La sentenza rigettava i ricorsi delle parti civili avverso la sentenza, emessa dal giudice dell'udienza preliminare ai sensi dell'art. 425 c.p.p., di non luogo a procedere nei confronti di due procuratori speciali di un'impresa, addetta al controllo delle acque in un istituto di cura, dall'accusa di omicidio colposo di una paziente e di avvelenamento colposo delle acque (artt. 589, 439, 452 c.p.). In particolare, l'accusa nei confronti dei due procuratori era di avvelenamento colposo delle acque, per avere omesso di attuare le misure necessarie per prevenire la contaminazione della rete idrica della struttura sanitaria, essendo l'acqua inquinata dal batterio della “legionella” e della “psudomonas aemginosa”; del reato di omicidio colposo della paziente la quale contraeva l'infezione del batterio della “legionella”, che ne causava la morte. Il giudice dell'udienza preliminare sosteneva nella sentenza il proscioglimento dei due procuratori, poiché non risultava che fosse stato stipulato un contratto tra la loro impresa e la struttura sanitaria, avente ad oggetto un esame continuo della qualità delle acque. Invero il giudice accertava che la predetta impresa veniva chiamata dalla struttura sanitaria ad analizzare le acque saltuariamente, ovvero solo quando vi era la necessità. Il giudice pertanto accertava l'esistenza di fatture, dell'impresa dei due ricorrenti, attestanti l'avvenuta analisi delle acque, in epoca assai anteriore (un biennio circa) alla morte della paziente. Inoltre, veniva acquisita in giudizio una proposta di analisi delle acque, accettata dalla struttura sanitaria, formulata dall'impresa dei ricorrenti, tuttavia priva delle loro firme. Anche questa proposta prevedeva non una continuità ...