Il caso
La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 4014 del 18 febbraio 2020, si è pronunciata sulla divisibilità delle parti comuni in condominio, chiarendo i rapporti sussistenti tra la disciplina in materia di divisione di beni condominiali, di cui all’art. 1119 c.c., e quella, dettata dagli artt. 1111 e 1112 c.c., relativa allo scioglimento della comunione ordinaria.
La controversia atteneva alla divisione di un cortile condominiale, che l’originario attore sosteneva essere in comproprietà tra lui stesso ed altri due soli condomini, nei confronti dei quali egli aveva promosso l’azione per lo scioglimento della comunione, avendo gli altri condomini una mera servitù di passaggio sullo stesso bene. Nondimeno, in ragione della non comoda divisibilità del bene oggetto di giudizio tra tutti i contitolari, ai sensi dell’art. 720 c.c., l’istante ne aveva domandato l’assegnazione esclusiva a sé medesimo.
I convenuti, per contro, avevano eccepito l’indivisibilità del cortile condominiale, in considerazione dell’assenza di una sua autonoma funzione, dal momento che esso era utilizzato per diverse utilità dai condomini. Di qui, l’incompatibilità dello stesso alla destinazione ad uso esclusivo di uno solo dei comproprietari.
Tanto il Tribunale quanto la Corte d’appello in sede di impugnazione avevano rigettato la domanda di divisione, argomentando ai sensi dell’art. 1119 c.c. In particolare, i giudici del merito avevano affermato che la divisione delle parti comuni di un edificio in condominio può ammettersi solo a condizione che essa non renda più incomodo l’uso del bene da parte di ciascun proprietario e che alla divisione acconsentano tutti i condomini.
In sede di legittimità, il ricorrente, tra l’altro, lamentava la violazione di legge, consistente nell’avere la Corte d’appello attratto il cortile nell’ambito dei beni comuni in applicazione della presunzione di condominialità di cui all’art. ...