L’aumento di pena (fino alla metà) nei confronti del contribuente, che sia incorso in una precedente violazione della stessa indole, è consentito solo a condizione che questa sia stata definitivamente accertata, o per mancata impugnazione dell’atto, o per accertamento giudiziale con valore di giudicato. Sono considerate della stessa indole le violazioni delle stesse disposizioni e quelle di disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono e dei motivi che le determinano o per le modalità dell’azione, presentano profili di sostanziale identità.
Viene di fatto superato il comportamento abituale degli Uffici che, nell’ambito di una verifica o in sede di irrogazione, applicavano l’istituto della recidiva solo per aver constatato, in periodi d’imposta precedenti, violazioni delle medesime disposizioni, anche se non ancora definitivamente accertate.
La questione viene affrontata dalla Suprema Corte, ed è forse questo il profilo di maggiore interesse, comparando l’istituto della recidiva (art. 7, comma 3, del D.Lgs. 472/97), con quello del cumulo giuridico e della continuazione (art. 12, comma 5, del D.Lgs. 472/97), il quale prevede, al contrario del primo, un trattamento di favore nei confronti del contribuente, quando vengono commesse più violazioni della stessa indole in periodi d’imposta diversi.
La Corte si sofferma anzitutto sulla differenza funzionale ed ontologica tra i due istituti: mentre la recidiva è un’aggravante della sanzione che punisce con più rigore chi si ostini a commettere consecutivamente la medesima violazione; il cumulo giuridico, al contrario, è un beneficio che discende dalla sostanziale unitarietà delle trasgressioni, privilegiando anche solo il profilo oggettivo della vicenda e non tanto la ricorrenza del medesimo disegno criminoso, tipico invece della continuazione dei reati (art. 81, comma 2, del c.p.).
La nuova formulazione dell’art. 7, comma 3, del D.Lgs. 472/97, se analizzata sul piano ...