La vicenda
In riforma della sentenza di primo grado, la corte d’appello, sul presupposto dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato di portierato, condanna i condòmini convenuti, ciascuno in proporzione delle rispettive quote millesimali, al pagamento di somme per differenze retributive, separatamente calcolate in relazione a diversi periodi di lavoro (in rapporto alle mansioni effettivamente esercitate) nonché a titolo di trattamento di fine rapporto.
Alcuni dei condòmini propongono ricorso per cassazione e i giudici di legittimità, sgombrato il campo dalle questioni preliminari concernenti l’asserita non integrità del contraddittorio (non venendo in rilievo un’ipotesi di litisconsorzio necessario, al lume della formulazione di una pretesa creditoria pecuniaria avanzata pro quota nei confronti dei convenuti in primo grado, in qualità di partecipanti al condominio), lo rigettano, ritenendo che il contratto esibito dai condòmini, ed avente ad oggetto la concessione in comodato dell’alloggio condominiale occupato dall’attore, non escluda la sussistenza di un rapporto di lavoro di portierato.
La decisione della Suprema Corte
I giudici di legittimità rilevano, in primo luogo, che la corte di merito ha accertato, in punto di fatto, l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, in base al quale l’attore in primo grado aveva disimpegnato mansioni di portiere presso il condominio interessato, in cambio anche di alloggio di servizio, ubicato nel medesimo stabile e occupato con il suo nucleo familiare, espletando compiti di vigilanza e custodia, e, per un primo periodo, anche servizi accessori di pulizia. Di qui la qualificazione dell’attività lavorativa svolta come corrispondente – in base alle previsioni della contrattazione collettiva – a quella di portiere di livello A (per i servizi di pulizia svolti) e, successivamente, di livello A2, con conseguente maturazione del diritto a differenti retribuzioni parametrate ai due distinti inquadramenti, del resto attestati anche dalla corresponsione ...