IL CASO AFFRONTATO DA TRIB. MI, SEZ. LAV., 17 LUGLIO 2020, N. 1126, DOTT. LOMBARDI.
Un lavoratore adiva in giudizio il proprio datore di lavoro innanzi il Tribunale di Milano formulando diverse domande, tra le quali il pagamento di alcune somme di denaro per (1) le numerose ore di lavoro straordinario e (2) il risarcimento del danno conseguente l’utilizzo illegittimo di alcuni strumenti di controllo a distanza in violazione degli artt. 4 St. lav. e Reg. EU n. 679/2016.
La società convenuta (datore di lavoro) rimaneva contumace.
Il Tribunale, con riferimento alle domande sopra indicate, rigettava il ricorso perché il ricorrente (lavoratore) non aveva adempiuto - su tali richieste di pagamento - all’onere della prova, posto a suo carico.
Ad avviso di chi scrive, la pronuncia in commento risulta di rilievo, perché è l’occasione per fare il punto sugli oneri allegatori delle parti nel processo finalizzato al pagamento delle ore di straordinario ed al diritto al risarcimento del danno conseguente la violazione al diritto di riservatezza. Tali oneri allegatori, come nel caso di specie, sono ancora più gravosi quando la parte convenuta rimane contumace.
LA SENTENZA.
Con riferimento alla domanda relativa alle ore di straordinario, nella parte motivazionale della sentenza viene richiamato un risalente orientamento di legittimità ai sensi del quale: «Il lavoratore che agisca per ottenere il compenso per il lavoro straordinario ha l’onere di dimostrare di aver lavorato oltre l’orario normale di lavoro e, ove egli riconosca di aver ricevuto una retribuzione ma ne deduca l’insufficienza, è altresì tenuto a provare il numero di ore effettivamente svolto, senza che eventuali - ma non decisive - ammissioni del datore di lavoro siano idonee a determinare una inversione dell’onere della prova» (V. Cass. civ., ...