Il trust è un istituto giuridico di origine anglosassone, sviluppatosi in seno alla tradizione di common law.
Con un atto unilaterale, un soggetto denominato disponente trasferisce beni e diritti di cui è proprietario ad un altro soggetto, denominato trustee, che ha il compito di gestire tali beni attendendosi alle direttive del disponente e alle norme di legge applicabili, nell’interesse di uno o più beneficiari o per il perseguimento di finalità predeterminate.
L’Italia è stato il primo paese di tradizione giuridica romanistica a firmare e ratificare, con la legge 16 ottobre 1989 n.364, la Convenzione dell’Aja, accordo internazionale che, sancendo il riconoscimento del trust nei paesi aderenti, ha contribuito a delinearne i tratti essenziali, trasferendo in norme positive gli elementi portanti di una prassi giuridico-commerciale che andava progressivamente diffondendosi.
Il trust, negli anni, è protagonista di molte pronunce giurisprudenziali, che hanno contribuito a delineare uno strumento giustamente applaudito per la sua capacità di soddisfare le esigenze più disparate con efficacia e flessibilità; d’altro canto, i giudici, con un approccio comune a quello osservato in materia di fondo patrimoniale e altri vincoli di destinazione, ne hanno censurato a più riprese l’utilizzo fraudolento, cosicché oggi le regole per costituire un trust solido e duraturo nel tempo sono note e consolidate.
In questo contesto, oggi affrontiamo un tema peculiare in materia di trust, ossia l’annosa controversia sulla fiscalità indiretta dei beni conferiti nel fondo in trust da parte del disponente. La peculiarità, come è ben noto agli operatori che si occupano di tutela del patrimonio e passaggio generazionale, sta nel contrasto tra la posizione dell’Agenzia delle Entrate, da una parte, e della giustizia tributaria, anche di legittimità, dall’altra.
In buona sostanza, secondo l’Amministrazione Finanziaria (circolare n. 48/E del 6 agosto 2007) ...