La Suprema Corte (Cass. civ., sez. II, ord. 4 febbraio 2021 n. 2634 rel. Scarpa) affronta un caso peculiare, che riguarda l’azione proposta da un soggetto, proprietario di unità immobiliare posta in condominio, volta ad ottenere la condanna di altri due condomini ad effettuare taluni interventi su parti comuni, in ottemperanza a provvedimento dell’autorità comunale.
Si trattava di opere aventi ad oggetto il manto di copertura dell'intero fabbricato, l'intonacatura esterna e le strutture perimetrali, dunque su beni che rientrano inequivocabilmente nella previsione di cui all’art. 1117 c.c.
La domanda era stata accolta dalla Corte di Appello di Firenze (in riforma della pronuncia, in primo grado, del Tribunale di Arezzo), all’esito di un giudizio promosso nei confronti non di tutti i condomini ma dei soli soggetti che si rendevano inadempimenti nella esecuzione delle opere sulle parti comuni, imposte dall’ordinanza sindacale.
Fra i diversi motivi di ricorso in cassazione, assume rilievo dirimente quello relativo alla integrità del contraddittorio: il ricorrente deduce infatti la nullità della sentenza per violazione dell'art. 102 c.p.c., essendo stata disposta la condanna all'esecuzione di opere e lavori su beni comuni senza che due condomini avessero partecipato al giudizio, eccezione svolta sin dal primo grado.
Il giudice di legittimità rileva che si tratta di immobile oggetto di divisione e che, all’esito della stessa, con l’assegnazione di porzioni individuali a ciascuno dei condividendi, deve ritenersi esser sorto il condominio.
Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, infatti, il fabbricato condominiale sorge ipso iure et facto nel momento in cui due unità immobiliari iniziano ad appartenere a soggetti diversi, quale che sia il titolo di provenienza e, dunque, anche laddove la commistione di proprietà solitarie e parti comuni derivi dalla assegnazione di beni individuati ai comunisti condividenti, in ...