1§. Breve premessa sul rapporto di amministrazione in condominio.
Ancora una volta la Corte di Cassazione (Cass.civ, sez. VI-II, ord. 26/02/2021 n. 5443, rel. A. Scarpa) non perde l’occasione di porre un altro importante “tassello” al percorso ermeneutico - cominciato ben prima della Legge n. 220/2012 - volto a responsabilizzare la figura dell’amministratore di condominio nell’esercizio dell’attività gestoria della cosa comune.
L’iter normativo di riforma, passato attraverso la fondamentale Legge 11 dicembre 2012 n. 220, ha avuto di mira la professionalizzazione dell’attività in parola, con il riconoscimento di maggiori competenze (v. art. 9 e 10 della L. n. 220/2012 di modifica degli artt. 1129 e 1130 c.c.) e, al tempo stesso, di maggiori responsabilità. Sotto tale profilo si consideri, inoltre, che la Legge 21 febbraio 2014, n. 9 (di conversione, con modificazioni, del D.L. 23 dicembre 2013, n. 145), integrando la riforma del 2012, ha rimesso al Ministro della Giustizia di disciplinare tecnicamente i requisiti necessari per esercitare l’attività di amministratore di condominio con la predisposizione di un percorso obbligatorio di formazione iniziale e di aggiornamento previsti dal neo introdotto (ex art. 25 L. n. 220/2012 cit.) art. 71-bis, co. 1 lett. g) delle disposizioni di attuazione al codice civile.
Nonostante il ruolo attribuito all’amministratore di condominio sia stato oggetto di intensi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, sviluppatisi soprattutto ante riforma, volti a disvelare la non chiara natura giuridica del condominio e, di conseguenza, della relazione instaurata tra l’amministratore ed i singoli condomini, oggi l’orientamento maggioritario della giurisprudenza appare spingere nella direzione di annoverare l’amministratore quale mandatario del condominio e rappresentante volontario (salvo le ipotesi di nomina per autorità giudiziaria, ex art. 1229 c.c.) degli interessi dei singoli partecipanti, nell’esercizio dei poteri conferitigli dalla legge, dal regolamento ...