La lettura del provvedimento in commento – che dipana una controversia tra condominio e condòmino in ordine allo sfruttamento delle parti comuni (nella fattispecie si trattava dell’apertura praticata sulla ringhiera del balcone per l’accesso diretto nel cortile condominiale antistante) – è utile per comprendere, da una parte, il potere di rappresentanza dell’amministratore in tema di tutela delle parti comuni, e, dall’altra parte, per qualificare la natura dell’azione esperita (quando si chiede il ripristino dello “status quo ante” di una cosa comune illegittimamente alterata da un condòmino).
Ma, procediamo, con ordine.
La prima questione emersa nella controversia in questione riguarda la legittimazione ad agire dell’amministratore, in assenza di una delibera assembleare.
Ora, le attribuzioni dell’amministratore sono delineate in modo preciso e articolato dall’articolo 1130 Codice civile, e, tra di esse rinveniamo il potere di curare gli “atti conservativi”.
L’articolo 1130 c.c. n.4, codice civile nella previsione anteriforma del 2013, discorreva di “atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio”.
La dottrina, in punto, individua(va) gli atti conservativi dell’amministratore in funzione della cosiddetta manutenzione ordinaria: ivi precisando che la stessa può articolarsi sia nella difesa dell’integrità dei beni comuni attraverso il compimento di atti materiali (si pensi al ripristino di un portone o di un muro rovinato), sia nella tutela del diritto dei condòmini all'uso pacifico ed indisturbato della loro (com)proprietà, e, qui, in tal caso, predisponendo le azioni giudiziarie appropriate rispetto allo scopo individuato (si veda sull'argomento G. Branca, Comunione Condominio negli edifici, Zanichelli, 1982).
La norma in disamina, per come poi novellata dalla legge 220 del 2012, prevede, adesso, invece che l’amministratore possa agire per “compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio”.
L’eliminazione del sostantivo “diritti” non è stata ...