La vicenda
Nel 1994, una società di gestione di un tratto autostradale conveniva in giudizio diversi proprietari di un immobile asseritamente costruito in violazione delle distanze minime dalla carreggiata e dalle pertinenze autostradali imposte dalla normativa speciale all’epoca vigente, individuata negli articoli: 9 della legge 24 luglio 1961, n. 729; 41-septies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (introdotto dall’art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765); 4 e 5 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444; 16 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (nuovo codice della strada). In particolare, tali disposizioni avrebbero imposto la distanza minima, dal nastro autostradale, di sessanta metri (se fuori dai centri abitati) e di 30 metri (nei centri abitati).
La domanda veniva rigettata integralmente in primo grado, mentre la corte d’appello, in riforma della pronuncia di prime cure e sulla scorta di apposita consulenza tecnica d’ufficio, accoglieva parzialmente la pretesa della società autostradale, limitatamente alle opere realizzate all’interno della fascia di rispetto di 30 metri dal confine autostradale.
La corte territoriale osservava che, al momento della costruzione dell’edificio, la perimetrazione del centro abitato non includeva la zona oggetto di causa, sicché tutte le opere indicate in citazione – poste a distanza inferiore di 60 metri dal nastro autostradale – avrebbero dovuto considerarsi illegittime.
Tuttavia, il nuovo codice della strada aveva introdotto una nuova classificazione delle strade e delle relative fasce di rispetto, imponendo la ridefinizione del perimetro del centro abitato. In adempimento di tale obbligo, il Comune, in data successiva all’edificazione controversa (7 dicembre 1995), aveva approvato la nuova delimitazione del centro abitato, facendovi rientrare tutto il territorio comunale, con conseguente operatività della più ristretta distanza di 30 metri dal ciglio della strada.
Per i giudici di secondo grado, quindi, ...