La Suprema Corte (Cass. civ., sez. VI-2, ord. 22 aprile 2022 n. 12927) affronta un tema peculiare che, ancor prima dell’entrata in vigore della novella del 2012, aveva occupato le analisi dottrinali, anche in virtù di una integrazione legislativa non cristallina dell’art. 1129 c.c..
La Corte di legittimità pone, finalmente, un punto fermo su un tema che ha trovato soluzioni altalenanti nella giurisprudenza di merito.
La pronuncia si contraddistingue per una disamina degli istituti sottesi assai sintetica ma che non può che colpire per la chiarissima sintesi e l’affilata interpretazione di una norma oggettivamente mal formulata dal legislatore del 2012.
L’art. dall'art. 9 della L. 11.12.2012, n. 220 ha infatti introdotto nell’art. 1129 c.c. il comma 14, che testualmente recita: “L'amministratore, all'atto dell'accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l'importo dovuto a titolo di compenso per l'attività svolta”
Se l’intento, certamente lodevole, era quello di evidenziare la necessità di una chiara indicazione di uno degli elementi essenziali del contratto (ovvero alla prestazione corrispettiva che compete all’amministratore a fronte del mandato speciale di gestione che è chiamato a svolgere), e di dare cornice legislativa ai prinpci in tema di compenso del mandatario consolidati nella giurisprudenza di legittimità (specie in tema di extra compensi per opere straordinarie, Cass. 28.10.2010 n. 10204), la formulazione normativa in termini di obbligo di specificazione all’atto dell’accettazione - e ad ogni rinnovo - ha destato più di una perplessità interpretativa.
Del resto le letture più avvedute hanno, sin da tutto principio, evidenziato come la nullità comminata ex lege non dovesse che interpretarsi con riguardo al più generale alveo dei principi generali del contratto, sì che la nullità colpiva il negozio di amministrazione e non ...