La vicenda
Nell’ambito di un edificio in condominio, il proprietario di un appartamento “unifica” due preesistenti balconi mediante posa in opera di una soletta di congiunzione in cemento armato di m 1,10 x 0,80.
L’autorità amministrativa comunale ordina la demolizione dell’opera, ritenuta abusiva, e il ripristino dello stato dei luoghi.
L’ingiunto impugna il provvedimento innanzi al giudice amministrativo, chiedendone l’annullamento, in forza della modestia delle dimensioni dell’opera, asseritamente riconducibile a manutenzione ordinaria (e come tale, non soggetta a titolo abilitativo), realizzata senza alterazione della volumetria e/o della sagoma dell’edificio e sui balconi insistenti su area condominiale e, dunque, non visibili dalla strada, peraltro già precedentemente uniti con gabbie di ferro pensili per consentire il sostegno di elementi ornamentali, in conformità a quanto già realizzato da altri condòmini sulla medesima facciata.
Il Tribunale amministrativo regionale rigetta il ricorso, ritenendo realizzate nuove superfici nell’ambito di un intervento qualificabile come ristrutturazione edilizia, per la cui esecuzione è necessario il previo rilascio del permesso di costruire.
Non migliore sorte registra il ricorso in appello, che viene definito con la sentenza in commento.
La decisione del Consiglio di Stato
È noto che i balconi aggettanti (ossia quelli che, a differenza dei balconi “a castello”, sporgono dalla facciata dell’edificio verso l’esterno) costituiscono un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono e, pertanto, rientrano nella proprietà esclusiva dei titolari delle porzioni immobiliari cui accedono, con imputazione ai proprietari delle relative spese di manutenzione (così, fra le pronunce di legittimità, Cass., sez. II, 30 aprile 2012, n. 6624).
I balconi aggettanti, dunque, non rientrano tra le parti comuni di un edificio in condominio, ai sensi dell’art. 1117 c.c., perché non sono necessari per ...