1. Premessa.
La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 1367/2023, ha affrontato la questione, particolarmente dibattuta in giurisprudenza e dottrina, che attiene al regime di invalidità delle delibere condominiali soffermandosi sul profilo dell’impugnabilità delle delibere “inesistenti”.
Sul punto gli Ermellini rilevano che i condòmini non hanno alcun interesse ad agire per l’impugnazione di una delibera inesistente, poiché la stessa non produce alcun concreto pregiudizio ai loro diritti, tale da legittimare la pretesa ad un diverso contenuto della decisione collegiale.
2. Il fatto.
Il Tribunale di Varese, decidendo sull’impugnazione proposta da un condòmino avverso due delibere approvate dall’assemblea, accoglieva la domanda solo relativamente alla prima decisione impugnata, con la quale riteneva fossero stati introdotti nuovi criteri di ripartizione delle spese, dichiarando la nullità della stessa.
Il Condominio impugnava il provvedimento reso dal Giudice di primo grado nella parte in cui accoglieva la domanda proposta dall’impugnante e chiedeva, pertanto, che venisse revocata la dichiarazione di nullità della delibera in questione con il rigetto integrale di tutti i motivi di impugnazione.
Il gravame proposto veniva rigettato dalla Corte d’appello di Milano. Rilevava la corte di merito che la delibera della quale si chiedeva la revoca della dichiarazione di nullità era da ritenersi “inesistente” e non “nulla”; a tal fine il Giudice d’appello evidenziava che affinché una delibera possa ritenersi affetta da nullità è sempre necessario che la stessa sia identificabile e qualificabile come atto giuridico, ovvero come espressione, sia pur viziata, della volontà dei condomini riuniti in assemblea. Nel caso sottoposto a gravame, invece, dal verbale assembleare risultava che non vi era stata alcuna manifestazione di volontà da parte dei condomini in merito alla ripartizione delle spese. L’appello veniva tuttavia rigettato: il condominio ...