IL CASO AFFRONTATO DA TRIB. MI., SEZ. LAV., 2 MARZO 2023, N. 296, DOTT.SSA SAIONI
In una recente pronuncia il Tribunale di Milano (Trib. Mi., sez. lav., 2 marzo 2023, n. 296) ha affrontato il caso di un lavoratore assunto con contratto di lavoro part-time in cui non era stata indicata in maniera precisa la collocazione temporale della prestazione lavorativa.
Nel caso di specie il lavoratore era stato assunto dalla società resistente il 24 maggio 2019 con contratto di lavoro intermittente, poi cessato il 30 aprile 2020. Il 1° maggio 2020 interveniva poi tra le parti un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e parziale, con mansioni di addetto alla sistemazione delle merci presso un punto vendita della società datrice. Il contratto di lavoro constava di un orario lavorativo di sei ore settimanali, per un totale di 26 ore mensili. La lettera di assunzione prevedeva, relativamente alla collocazione oraria della prestazione, che ‹‹ai sensi e per gli effetti dal disposto dell’art. 5, co. 2 D. Lgs. n. 81 del 2015, al fine della comunicazione dell’articolazione oraria di lavoro, deve farsi espresso rinvio ai turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite che saranno di periodo in periodo comunicati per il tramite della piattaforma digitale di programmazione dei servizi e/o per il tramite di nota via email…››. Il ricorrente deduceva che il proprio orario di lavoro si svolgeva essenzialmente su due possibili turni di lavoro, che gli venivano comunicati giornalmente dai propri responsabili.
Inoltre, il lavoratore lamentava di aver subito, di fatto, un licenziamento orale, in quanto non veniva più assegnato ad alcun turno di lavoro dopo il rifiuto opposto alla proposta di cessione del proprio contratto di lavoro a una società terza. Pertanto, chiedeva al Tribunale di accertare l’illegittimità e/o inefficacia del licenziamento intimato oralmente, con condanna alla reintegra nelle proprie mansioni e al risarcimento del danno.
LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA
Il Tribunale giudicante accoglieva entrambe le censure sollevate dal ricorrente, sia in relazione alla mancanza di indicazione della collocazione oraria della prestazione lavorativa, sia con riguardo all’inefficacia del licenziamento orale subito.
Ad avviso dell’organo giurisdizionale, difatti, il contratto di assunzione in concreto ometteva una chiara indicazione della collocazione temporale dell’orario lavorativo, che peraltro gli veniva comunicato di periodo in periodo, in violazione del disposto dell’art. 5, secondo comma, D. Lgs. n. 81 del 2015 (per cui ‹‹Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno››). Accertata la violazione delle disposizioni sulla puntuale indicazione della collocazione oraria, il Tribunale riconosceva in capo al ricorrente il risarcimento del danno di cui all’art. 10, secondo comma, D. Lgs. n. 81 del 2015, liquidato in via equitativa, nella misura del 20% della retribuzione mediamente percepita.
Inoltre, il Tribunale milanese riconosceva l’inefficacia del licenziamento subito dal ricorrente, qualificandolo alla stregua di un licenziamento orale, in quanto ‹‹è da ritenere provato in causa che, successivamente all’11 marzo 2022, il ricorrente non è stato più regolarmente inserito nei turni di lavoro né richiamato in servizio e, ciò nonostante, l’offerta della prestazione lavorativa formulata e l’espressa richiesta di riammissione in servizio. L’estromissione del ricorrente dal posto di lavoro equivale, a tutti gli effetti, a un licenziamento orale››. Come noto, sul datore di lavoro incombe l’obbligo di comunicare per iscritto al lavoratore il licenziamento e i motivi che lo hanno determinato, per cui il licenziamento orale è inefficace ai sensi dell’art. 2, L. n. 604 del 1966.
L’INDICAZIONE ORARIA DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA NEL CONTRATTO DI LAVORO PART-TIME
Il contratto di lavoro part-time è disciplinato dagli artt. 4-12 D. Lgs. n. 81 del 2015. In particolare, l’art. 5 prevede il contenuto necessario di tale contratto, e, in particolare, la puntuale indicazione della durata della prestazione e della collocazione temporale dell’orario lavorativo con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno. La ratio della disciplina è di permettere l’organizzazione del tempo libero del lavoratore e del tempo dedicato ad un’eventuale ulteriore attività lavorativa. Ciò emerge anche dalla pronuncia commentata in questa sede, in quanto il Tribunale rilevava che ‹‹l’esigenza di una precisa collocazione oraria riguarda sia le prestazioni part-time di tipo orizzontale che quelle di tipo verticale, perché la rigida collocazione temporale della prestazione ha lo scopo di permettere al lavoratore la migliore organizzazione e programmazione del tempo libero››.
Da questa pronuncia emerge ulteriormente che l’indicazione della collocazione oraria deve essere puntuale e precisa, e tale non può considerarsi il rinvio a turni di lavoro non indicati nel contratto, articolati su fasce orarie prestabilite ma, anch’esse, non precisate nel contratto, e comunicati al lavoratore di periodo in periodo. Nel caso di specie, peraltro, i turni venivano comunicati giornalmente al ricorrente, che non aveva dunque modo di organizzare il proprio tempo libero e lavorativo. Il Tribunale di Milano si è pronunciato sul tema già in diverse occasioni, sostenendo che è legittima l’indicazione delle sole fasce orarie nel contratto di assunzione, a condizione che vi sia un rinvio a turni programmati e preventivamente individuati al sorgere del rapporto di lavoro. La mera indicazione delle fasce orarie, in difetto di una programmazione prestabilita dei turni, infatti ‹‹porrebbe il lavoratore alla mercé del potere datoriale di unilaterale determinazione della collocazione oraria della prestazione lavorativa, in contrasto con le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale nella citata pronuncia n. 210/1992, circa la necessità di garantire una programmazione dei tempi di vita e di lavoro del part timer›› (Trib. Milano, 5 aprile 2018, e, in senso conforme, per un maggiore approfondimento, cfr Trib. Milano, sez. lavoro, 11 febbraio 2021, n. 403, dott.ssa Colosimo e Trib. Milano, sez. lavoro, 29 luglio 2021, n. 1630, dott. Lombardi).
La normativa prevede una maggiore flessibilità in merito alla definizione dell’orario lavorativo solo in caso di inserimento delle c.d. clausole elastiche, previste dall’art. 6, quarto comma, D. Lgs. 81/2015, per cui le parti, di comune accordo, possono pattuire per iscritto delle variazioni della collocazione temporale ovvero una variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa a tempo parziale. Qualora il contratto collettivo applicabile non regolamenti già le clausole elastiche, ai sensi dell’art. 6, sesto comma, D. Lgs. 81/2015, queste devono essere pattuite per iscritto avanti alle commissioni di certificazione e devono prevedere a pena di nullità le condizioni e le modalità con cui il datore di lavoro può modificare, dando un preavviso di due giorni lavorativi al lavoratore, la collocazione temporale della prestazione ovvero variarne in aumento la durata. Tale aumento non può in ogni caso superare il limite del 25% della normale prestazione annua a tempo parziale e in caso di modifica dell’orario il lavoratore ha diritto ad una maggiorazione del 15% della retribuzione oraria.
CALCOLO DEL RISARCIMENTO PER MANCATA INDICAZIONE DELL’ORARIO LAVORATIVO
La violazione delle regole sull’indicazione della collocazione temporale dell’orario lavorativo è sanzionata dal legislatore ai sensi dell’art. 10 D. Lgs. 81/2015 per cui, in caso di difetto di indicazione della collocazione oraria, ‹‹il giudice determina le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale, tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore interessato e della sua necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro. Per il periodo antecedente alla pronuncia, il lavoratore ha […] diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta per le prestazioni effettivamente rese, a un'ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno››.
Nel caso di specie, il Tribunale precisava che il diritto del ricorrente al risarcimento del danno discendeva dalla sola violazione delle disposizioni relative all’obbligo di indicazione della collocazione lavorativa oraria, per cui non era necessaria una allegazione probatoria del ricorrente in merito al danno subito, e che la liquidazione del danno doveva essere quantificata in via equitativa (sul tema v. Cass. Civ., sez. lavoro, 4 maggio 2015, n. 8882, Cass Civ., sez. lavoro, 6 aprile 2021, n. 9229). Il Tribunale milanese determinava il ristoro del lavoratore nella misura del 20% della retribuzione mediamente percepita, moltiplicata per la durata del rapporto di lavoro. La valutazione veniva svolta alla luce del danno subito dal ricorrente in concreto, poiché difficilmente avrebbe potuto intrattenere un altro rapporto lavorativo, considerato l’orario lavorativo svolto e la comunicazione di periodo in periodo dei turni di lavoro (sulla medesima modalità di quantificazione v. anche Trib. Milano, sez. lav., 17 agosto 2016, n. 2176). Si rileva che in altri precedenti del medesimo Tribunale il risarcimento era stato quantificato in una misura diversa, pari al 10% della retribuzione mensile (v. Trib. Milano, sez. lavoro, 29 luglio 2021, n. 1630, dott. Lombardi già citata, oltre che Trib. Milano, sez. lavoro, Sent., 04 febbraio 2022, n. 294 e Trib. Milano, sez. lavoro, 28 dicembre 2022, n. 2939).