Il fatto
Un condòmino agisce nei confronti del proprio Condominio al fine di ottenere l’annullamento di una delibera condominiale ma, il Condominio, nelle more del giudizio, adotta una successiva delibera, in sostituzione della prima, di identico contenuto, legittima e non impugnata.
Il Tribunale dichiara, quindi, la cessazione della materia del contendere, ma compensa le spese di lite tra le parti, stigmatizzando il comportamento del condòmino per avere quest’ultimo introdotto incautamente il giudizio di merito, senza aver previamente esperito il tentativo di mediazione obbligatoria e per avere inoltre insistito nella richiesta di sospensione dell’efficacia della delibera impugnata quando oramai la medesima era già stata sostituita da una nuova delibera di identico contenuto, legittima e non impugnata.
L’inquadramento giuridico della cessazione della materia del contendere.
La pronuncia di cessazione della materia del contendere è una formula corrente nella prassi giurisprudenziale, ma non costituisce una fattispecie di definizione del processo civile prevista dalla disciplina codicistica.
Si ha cessazione della materia del contendere, rilevabile anche di ufficio dal giudice (Cass. civ. n. 10728/2017; 15309/2020; Cass. civ. n. 38054/2002), allorché risulti acquisito agli atti del giudizio che si è verificato un fatto sopravvenuto che ha determinato il soddisfacimento della pretesa attorea e che, conseguentemente, non vi è più la necessità di affermare la volontà della legge nel caso concreto, potendo al più residuare solo contestazione in merito alle spese di lite (Cass. civ. n. 19568/2017).
Sotto la prospettiva strettamente dogmatica, si potrebbe ritenere che la cessazione della materia del contendere possa qualificarsi come una pronuncia di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse ad agire: quest’ultimo infatti consiste nell’esigenza di “provocare” l'intervento degli organi giurisdizionali per conseguire la tutela di un diritto o di una ...