Il fatto.
La questione approdata in Cassazione trae origine da due vicende giudiziarie parallele. Invero, con una prima sentenza il Tribunale di Roma condanna un amministratore di condominio alla restituzione della somma versata da alcuni condomini di € 39.802,42, rilevando che tale importo non sia stato registrato regolarmente in bilancio e, conseguentemente, che non risulti approvato correttamente il rendiconto relativo alla gestione condominiale.
Sulla scorta di tale pronuncia, la Corte capitolina, chiamata a pronunciarsi in un separato giudizio vertente sul compenso spettante all’amministratore medesimo, riforma la sentenza di prime cure e dichiara illiquido il credito da questi vantato: dirimente è la considerazione per cui il compenso per l’attività gestoria è, comunque, una spesa che necessita di preventiva deliberazione e approvazione quale voce del relativo bilancio, in mancanza della quale nulla è dovuto.
Avverso tale sentenza ricorrono gli eredi dell’amministratore, ritenendo che il de cuius abbia regolarmente adempiuto al proprio mandato, per ciò solo spettando il compenso previsto.
Inquadramento giuridico.
La nomina dell’amministratore di condominio rientra fra le attribuzioni deliberative dell’assemblea (artt. 1129, co. 1, e 1136, co. 4, c.c.) e, in particolare, a seguito della riforma introdotta con la legge n. 220 del 2012, essa si struttura come scambio di proposta e accettazione, secondo quanto desumibile testualmente dai commi 2 e 14 del medesimo art. 1129 c.c., nonché dall’art. 1130, n. 7, c.c., il quale dispone che la nomina dell’amministratore deve essere annotata in apposito registro (cfr. in tal senso Cass. n. 12927/2022). Più in generale, poi, dall’art. 1130 n. 7 e dall’art. 1136, ultimo co., c.c. si evince che la delibera di nomina dell’amministratore ed il correlato contratto di amministrazione devono anche avere forma scritta (arg. da S.U. n. 943/1999).