Il caso
Un condomino ha citato in giudizio il proprietario di un cane, residente nell’appartamento adiacente, per ottenere il risarcimento del danno subito a causa dei latrati e degli ululati, persistenti e anomali, provenienti dall’animale durante varie ore del giorno e della notte. Oltre al disturbo arrecatogli, l’attore si doleva della violazione del regolamento di condominio, che consentiva di tenere animali domestici nell’appartamento o nelle aree di proprietà esclusiva, a condizione che “non recassero molestia o disturbo al vicinato o fossero fonte di pericolo”.
Stante la genericità della clausola del regolamento di condominio, il Tribunale ha ritenuto di dover interpretare il concetto di “molestia o disturbo” alla luce della norma dell’art. 844 c.c., quindi come un’immissione acustica o un rumore derivanti dal fondo del vicino che superano “la normale tollerabilità”, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Tale criterio, che non trova un riferimento in dati aritmetici fissati ex lege, ma presuppone che si vagli il caso concreto con le sue specificità, non rappresenta un limite assoluto; pertanto, la valutazione volta a stabilire se le immissioni rientrano o meno nella “normale tollerabilità” muove dalla considerazione della sensibilità dell’uomo medio – e non delle singole persone interessate alle immissioni – e della situazione locale.
Fatte queste premesse, il Tribunale ha rigettato la domanda risarcitoria dell’attore in quanto durante l’istruttoria, basata prevalentemente sulle deposizioni testimoniali, non è emerso che gli ululati fossero di frequenza e intensità tale da essere intollerabili ai sensi dell’art. 844 c.c..
L’art. 1138, comma 5 c.c. e il “divieto di vietare di tenere animali domestici”
La convivenza dell’essere umano con gli animali assurge a vero e proprio diritto, tanto è vero che l’art. 1 L. 281/1991, in tema di trattamento ...