Prima della riforma del condominio il codice civile non contemplava espressamente i sottotetti, ma menzionava nell’art. 1124, secondo comma, c.c. alcune parti dell’edificio sottostanti al tetto, stabilendo che, ai fini delle spese per la riparazione delle scale, si considerano come piani i palchi morti, le soffitte e le camere a tetto.
In giurisprudenza si era affermato che il “sottotetto”, ossia la parte di edificio immediatamente sottostante il tetto, a seconda dell’altezza, della praticabilità del solaio, delle modalità di accesso e della esistenza di o meno di finestre, si distingue in:
- “mansarda” (o “camera a tetto”) e cioè locale abitabile;
- “soffitta”, ossia vano inabitabile, ma utilizzabile soltanto come deposito, stenditoio, ecc.;
- “camera d’aria” (o “palco morto”) e cioè vano sprovvisto – a differenza degli altri – di solaio idoneo a sopportare il peso di persone e cose, e destinato quindi essenzialmente a preservare l’ultimo piano dell’edificio dal caldo, dal freddo e dall’umidità (Cass. 22 aprile 1986 n. 2824, Vita not. 1986, 788).
Sia prima che dopo la riforma del condominio (in base alla quale nell’art. 1117, n. 2, c.c., è stata espressamente stabilita la natura comune dei sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune), secondo la S.C. la proprietà del sottotetto si determina, in primo luogo, base al titolo (cfr., in tal senso, da ultimo: Cass. 18 aprile 2023 n. 10269; Cass. 21 maggio 2020 n. 9383; Cass. 17 febbraio 2020 n. 3860; Cass. 21 maggio 2020 n. 9383; Cass. 30 marzo 2016 n. 6143).
In mancanza del titolo, deve farsi riferimento alle sue caratteristiche strutturali e funzionali, sicché, quando il sottotetto sia oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all'uso comune o all'esercizio di un servizio ...