Il fatto.
L’amministratore di un condominio conveniva in rivendicazione, insieme ad alcuni condomini, la proprietaria di un immobile dello stabile, che, in base ad una scrittura privata stipulata con la propria venditrice nel 1995, si era impossessata del locale, situato nell’androne dell’edificio, originariamente destinato a guardiola del portiere, in spregio alla presunzione di comunione stabilita dall’art. 1117 c.c..
Il giudice di prime cure, accertata la natura condominiale del bene, dichiarava l’inopponibilità dell’atto di vendita al condominio, nei cui confronti condannava l’acquirente a riconsegnare il locale.
La corte distrettuale confermava la decisione di primo grado, ritenendo, peraltro, inidonea a produrre effetti traslativi la delibera assunta all’unanimità dall’assemblea nel 1977 con cui, unitamente all’approvazione del regolamento e delle tabelle millesimali, si era provveduto ad attribuire la proprietà esclusiva della guardiola al dante causa dell’originaria convenuta, in favore della quale il primo aveva, poi, disposto del bene.
Tale affermazione viene, però, censurata per cassazione dalla condomina soccombente.
Inquadramento giuridico.
In base all’art. 1117 c.c. sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, se non risulta il contrario dal titolo: 1) le parti necessarie per l’esistenza del fabbricato (quali il suolo, le fondazioni, i muri maestri, i tetti, i latrici solari) ovvero per l’uso comune (come i portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili); 2) i locali destinati al servizio comune (quali quelli per la portineria, per l’alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi); 3) le opere, le installazioni, e i manufatti di qualunque genere, che servono al godimento comune (come gli ascensori, le cisterne, i pozzi, gli acquedotti, le fognature, i canali di scarico, gli impianti per l’acqua, per ...