Secondo la costante giurisprudenza delle sezioni penali della Corte di cassazione, l’appropriazione indebita di somme di denaro che l’amministratore abbia ricevuto da condomini o da terzi si consuma soltanto al momento in cui cessa dal proprio incarico, e dunque al momento della conclusione dell’attività gestoria (così, da ultimo, Cass. pen. 1° agosto 2023, n. 33529; Cass. pen. 2 ottobre 2023, n. 39735).
Tale ricostruzione va tuttavia confrontata con la disciplina dettata dall’art. 1129, settimo comma, cod. civ.
È noto che la elaborazione costante afferma che il reato di cui all'art. 646 cod. pen. si consuma nel momento dell'interversione del titolo del possesso, che non coincide necessariamente né con quello della scadenza del termine stabilito per la restituzione (in quanto la mancata restituzione colposa non integra gli estremi del reato), né con quello dell'alienazione della cosa da parte del possessore (che può essere preceduta dall'interversione). Il rifiuto volontario ed ingiustificato della restituzione della cosa dopo la scadenza del termine che ne legittima il possesso rende, dunque, manifesta l'esistenza sia dell'elemento oggettivo, per il venir meno della legittimità del possesso, sia di quello soggettivo, evidenziando la volontà del possessore di invertire il titolo del possesso per trarre dalla cosa stessa un ingiusto profitto. In tale momento il delitto di appropriazione indebita si reputa integrato in tutti i suoi elementi.
Quindi, il momento consumativo dell’appropriazione indebita di somme di pertinenza del condominio non è necessariamente integrato soltanto dalla mancata restituzione delle stesse al momento della cessazione dell’incarico conferitogli dall’assemblea, agli effetti dell’art. 1713 cod. civ. in tema di mandato, potendo l’omessa consegna di quanto ricevuto essere piuttosto rivelatrice di una condotta appropriativa pregressa.
Invero, vige ormai da oltre dieci anni l’art. 1129, settimo comma, cod. civ., il quale ...