Diversamente che nella comunione ordinaria, nel condominio di edifici il godimento dei beni comuni non configura essenzialmente un limite dell’uso comune, quanto lo scopo del diritto stesso di condominio: la “relazione di accessorietà”, implicita negli artt. 1117 e 1117-bis cod. civ., trova il suo fondamento nel fatto che le parti comuni sono necessarie per l’esistenza, oppure nel fatto che sono permanentemente destinate all’uso o al godimento comune. Così, il codice civile, a proposito della comunione in generale, non parla mai di “uso comune”, come invece vien fatto nell’art. 1117 cod. civ. per il condominio negli edifici. L’art. 1102 cod. civ., indicativamente, adopera piuttosto l’espressione “uso della cosa comune”, e ciò al fine di impedire agli altri partecipanti di “farne pari uso secondo il loro diritto”. Il rapporto di comunione ordinaria si esaurisce nella contitolarità del bene che ne forma oggetto, senza legami o vincoli di strumentalità rispetto ad altri beni. Ciò dà conferma all’illazione secondo cui la comunione non si rapporta mai con un interesse generale, perché persegue solo l’interesse del singolo comproprietario.
Queste differenze, nella prospettiva risarcitoria, che qui interessa, potrebbero indurre a diversificare altresì le conclusioni che si possono proporre sul danno al diritto di comunione e sul danno al diritto di condominio, in relazione non alle caratteristiche dell’oggetto che subisce gli effetti dell’azione o omissione illecita umana (identico essendo, a tali effetti l’oggetto delle due situazioni di contitolarità), quanto al rapporto di interesse, rispettivamente singolo ed immediato, oppure collettivo e strumentale, che intercorre tra tale oggetto ed il soggetto, rispettivamente comproprietario o condomino, che pretenda il risarcimento.
Si deve invece confutare l’esattezza di una simile divaricazione di rilevanza e di tutele.
Tanto la “quota” del comproprietario, quanto il valore millesimale del condomino di edifici, rappresentano ...