1. Il caso
Nel 2008 una società proprietaria di due unità immobiliari comprese in un condominio aveva ceduto gli immobili ad un terzo. Quest’ultimo era rimasto tale fino al 2014, allorché l’originaria cedente era rientrata nella disponibilità degli immobili; in questo arco di tempo di sei anni circa, l’originario cessionario si era reso moroso nel pagamento degli oneri condominiali. Il Condominio, pertanto, aveva agito contro di lui ai fini di recuperare le somme dovute, ottenendo due titoli esecutivi nei suoi confronti, sulla cui base erano state tentate due procedure esecutive mobiliari che, tuttavia, avevano avuto esito infruttuoso.
Dopo che l’originaria cedente aveva riacquistato la proprietà delle unità immobiliari, il Condominio aveva proceduto ad instaurare procedimento monitorio nei suoi confronti, per ottenere il pagamento degli oneri rimasti insoluti da parte del primo cessionario ed aveva così ottenuto decreto ingiuntivo nei confronti della “nuova” proprietaria; quest’ultima si era vista respingere l’opposizione avverso tale decreto, prima dal giudice di pace e poi dal Tribunale in sede di appello.
Veniva così proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. Con i primi due motivi (l’uno sulla base dell’articolo 360 co.3 n. 3 c.p.c., l’altro sulla base dell’articolo 360 co.1 n. 5 c.p.c.) si lamentava il fatto che il giudice di appello non avesse correttamente qualificato la domanda del Condominio in sede monitoria, incorrendo in un’erronea applicazione delle norme sul pagamento dei contributi di gestione ordinari relativi alle parti e ai servizi comuni; in particolare, l’ingiunta si doleva del fatto che le somme oggetto del decreto ingiuntivo non trovavano giustificazione negli stati di riparto approvati in assemblea, ma fossero le stesse oggetto dei titoli esecutivi di condanna al pagamento ottenuti nei confronti del primo cessionario e che, pertanto, ella fosse stata condannata ...