Dovrebbe essere ormai acquisito il principio, affermato dalla recente Cass., sez. 2, 9 maggio 2024, n. 12707, per cui, in tema di condominio negli edifici, la legittimazione passiva dell’amministratore di condominio per “qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio”, ex art. 1131, comma 2, cod. civ., non concerne le domande incidenti sull’estensione del diritto di proprietà o comproprietà dei singoli, le quali devono, piuttosto, essere rivolte nei confronti di tutti i condomini, in quanto in tali fattispecie viene dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo unico ed inscindibile su cui deve statuire la richiesta pronuncia giudiziale.
Si tratta, infatti, di una conclusione che affonda le proprie radici nella combinazione di tre capisaldi del diritto condominiale e, cioè, Cass., S.U., 6.8.2010, n. 18331, per cui l’“'amministratore…non ha autonomi poteri, ma si limita ad eseguire le deliberazioni dell'assemblea ovvero a compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio (art. 1130 c.c.). Ne consegue che, anche in materia di azioni processuali il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all'assemblea che dovrà deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente. Un tale potere decisionale non può competere all'amministratore che, per sua natura, non è un organo decisionale ma meramente esecutivo del condominio. Ove tale potere spettasse all'amministratore, questi potrebbe anche autonomamente non solo costituirsi in giudizio ma anche impugnare un provvedimento senza il consenso dell'assemblea e, in caso di ulteriore soccombenza, far sì che il condominio sia tenuto a pagare le spese processuali, senza aver in alcun modo assunto decisioni al riguardo”, Cass., S.U., 13.11.2013, n. 25454, per cui, qualora un condomino agisca per l'accertamento della natura condominiale di un bene, non occorre integrare il contraddittorio nei riguardi degli altri condomini, se il convenuto eccepisca la proprietà ...