La disciplina del condominio negli edifici, per come si legge nel capo del libro III del codice civile “Della Proprietà”, è assai variegata e si pone come una specie (di cui al CAPO II) rispetto alla prevalente e precedente comunione ordinaria. In materia condominiale esiste, in particolare, una comunione forzosa di parti comuni ed una comunione scindibile.
Il condominio, sotto tale dizione, potrebbe convenirsi sotto l’egida di una “comunione forzosa” che si esprime tramite il ricorso alle parti comuni (art. 1117 e ss c.c.), le quali non necessitano di essere censite ai fini catastali. Le “parti comuni” sono state definire, pertanto, come mere pertinenze delle unità principali a cui essi sono asservite da un vincolo stabile e duraturo, in sé, più che astrattamente, inscindibile per ruolo e funzione (per questo ultimo aspetto, cfr SCARPA A. “L’uso ‹‹pari›› o ‹‹dispari›› delle parti comuni nel condominio”, 31.07.2024 in Consultenza.it).
L’articolo 1117 c.c. classifica le “parti comuni” in tre categorie: (1) parti necessarie alla sussistenza dell’edificio (quali ad esempio il suolo, le fondazioni, i muri maestri); (2) parti strumentali ad una migliore utilizzazione del condominio e dei servizi da esso offerti (ad esempio il locale portineria o quello per il riscaldamento) oltre alle aree di parcheggio; (3) opere ed impianti che servono all’uso o al godimento comune (ascensore, impianti di fognatura).
La differenza, dunque, tra la comunione e il condominio sta nell’idea stessa (ratio) dell’istituto giuridico, nel senso che, mentre il primo è votato, per destinazione, allo scioglimento (con i soli limiti contemplati dall’articolo 1112 c.c.) e/o alla separazione per quote in natura, il secondo è votato, per destinazione e natura, al persistere in modo indeterminato, stabile e duraturo in quanto indivisibile per natura
In tema di divisione ...