Con la sentenza del 10 marzo 2021, n. 6578, la Corte di Cassazione precisa che, ai fini dell’applicazione del Codice del Consumo [D. Lgs. n. 206/2005] non rileva se l’acquirente abbia o meno indicato nel modulo contrattuale la propria partita iva, bensì la finalità dell’agente al momento della conclusione del contratto.
La questione è stata affrontata dalla Corte di legittimità a seguito di un ricorso promosso da un acquirente, il quale lamentava il fatto che in sede d’appello, i giudici, gli avessero negato l’applicazione della disciplina del Codice del Consumo nell’ambito di una controversia con il venditore in cui chiedeva la nullità o in subordine la risoluzione del contratto d’acquisto da lui sottoscritto a causa di gravi vizi riscontrati nel bene acquistato.
A detta dei giudici di merito, nel modulo d’acquisto, l’acquirente aveva indicato la sua partita iva, motivo per cui, al caso di specie, non poteva essere applicata la disciplina del Codice del Consumo. Secondo i giudici, infatti, “l'apposizione della partita IVA sul contratto rappresenta un indicatore evidente della circostanza che la parte è un operatore professionale e, dunque, non un consumatore”, di conseguenza, scrivevano i giudici nelle proprie argomentazioni, è impossibile applicare allo stesso i diritti di recesso o la disapplicazione automatica di clausole vessatorie prevista dal Codice del Consumo.
Investita della questione, la Cassazione ha però evidenziato che nel giudizio di merito è stato disatteso il principio [espressione di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato], in base al quale, ai fini dell'assunzione della veste di consumatore, l'elemento significativo non è il "non possesso", da parte della "persona fisica" che ha contratto con un "operatore commerciale", della qualifica di "imprenditore commerciale", bensì lo scopo (obiettivato o obiettivabile) voluto dall'agente nel momento in cui ha concluso il contratto.
Ragion per cui, la stessa persona fisica svolgente attività imprenditoriale o professionale deve considerarsi "consumatore" quando conclude un contratto per appagare esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di dette attività ( cfr. Cass., 5/5/2015, n. 8904; Cass., 4/11/2013, n. 24731; Cass., 18/9/2006, n. 20175. Cass., 15/10/2019, n. 25914 ).
Per capire se in una questione si applichi o meno la disciplina del Codice del Consumo, dunque l’analisi deve essere condotta caso per caso, verificando se l’acquisto del bene sia finalizzato ad esplicare l’attività professionale del soggetto piuttosto che la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana che nulla hanno a che fare con l’attività professionale.
Concludendo, la mera indicazione della partita IVA in un contratto d’acquisto di un bene, inserita tra le generalità dell’acquirente, non può considerarsi un elemento sufficiente per escludere la qualifica di “consumatore” e, per l’effetto, non applicare al caso di specie la relativa disciplina che tutela tale figura.
Sentenza cassata, dunque. I giudici di merito dovranno pertanto ridefinire la questione sulla scorta del suindicato principio pronunciato dalla Cassazione.