Con la Risposta a interpello febbraio 2024, n. 30, l’Agenzia Entrate é intervenuta in tema di deducibilità dei contributi di previdenza complementare per il lavoratore di prima occupazione.
La fattispecie
Nel caso di specie, l'istante ha rappresentato di essere stato assunto come lavoratore subordinato in Italia per la prima volta nell'anno 2013, iscrivendosi alla forma di previdenza obbligatoria presso l'INPS in tale anno, senza, tuttavia, aderire ad alcuna posizione di previdenza complementare. Quindi dal 2013 al 2018 non ha svolto attività lavorativa.
Trasferitosi in Austria nel 2018, dove ha lavorato come lavoratore subordinato fino al 2023, si è iscritto alla previdenza obbligatoria e ha aderito ad una forma di previdenza complementare.
Dal 1° giugno del 2023, ha cominciato a lavorare in Italia come lavoratore subordinato, aderendo ad un fondo di previdenza complementare.
All’Agenzia delle Entrate l’istante ha chiesto se poteva essere considerato lavoratore di prima occupazione a decorrere dal 2023, così da far decorrere i 5 anni richiesti dall’art. 8, comma 6, del D.Lgs. n. 252 del 2005 dopo i quali, per 20 anni, può fruire della maggiore deducibilità dei contributi versati alla previdenza complementare. Quindi non nel limite di 5.164,57 euro, ma 7.746,86 euro.
Sul punto va ricordato che con Circolare n. 70/E/2007, è stato chiarito che «Per lavoratori di prima occupazione si devono intendere quei soggetti che alla data di entrata in vigore del decreto non erano titolari di una posizione contributiva aperta presso un qualsiasi ente di previdenza obbligatoria.».
La norma riguarda, dunque, i lavoratori che non risultano essere titolari di una posizione contributiva aperta presso un ente di previdenza obbligatoria al 31 dicembre 2006 e che, dopo essersi iscritti ad una qualsiasi previdenza obbligatoria, partecipano a forme di previdenza complementare, collettiva o individuale.
Al riguardo, si rileva che l'adesione alla previdenza complementare, rilevante ai fini dell'applicazione dell’art. 8, comma 6, del D.Lgs. n. 252/2005, va riferita a forme di previdenza complementare che consentono la deducibilità dei contribute versati ai fini della determinazione del reddito soggetto a tassazione in Italia. L'applicazione della norma, infatti, presuppone che il lavoratore sia residente in Italia al momento del versamento dei contributi oggetto di deduzione.
Soluzione delle Entrate
Con la risposta all’interpello in esame, l’Agenzia Entrate l’Agenzia delle Entrate ha precisato – in sintesi - che il periodo lavorativo svolto all’estero versando i contributi alla previdenza obbligatoria del Paese UE e l’adesione alla previdenza complementare di tale Stato membro non fanno decorrere i 5 anni dopo i quali, il lavoratore di prima occupazione, può fruire della maggiore deducibilità dei contributi per 20 anni.
Nello specifico, l'Amministrazione finanziaria chiarisce che, nel presupposto che durante il periodo di permanenza all'estero, il contribuente non sia stato fiscalmente residente in Italia, l'ulteriore plafond di deducibilità va determinato considerando i primi cinque anni di adesione alla forma pensionistica complementare che consentono all'istante la deduzione dal reddito complessivo dei contributi versati, ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. e-bis), del TUIR vale a dire, nel caso di specie, a partire dal 2023.
In conclusione, tenuto conto del percorso lavorativo dell’istante, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che i primi cinque anni di adesione alla forma pensionistica complementare, che consentono di fruire successivamente della maggiore deducibilità, debbano decorrere dal 2023.
Resta fermo che l'accertamento dei presupposti per stabilire l'effettiva residenza fiscale implica valutazioni di ordine fattuale non esperibili in sede di risposta alle istanze di interpello (art. 11 legge n. 212 del 2000, Statuto del Contribuente).