E’ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 5 luglio 2024 la nuova direttiva 2024/1760/UE meglio nota come Corporate Sustainability Due Diligence Directive che entrerà in vigore il prossimo 25 luglio e che dovrà essere ratificata dagli Stati dell’Unione Europea entro il prossimo 2026.
La direttiva n. 1760/2024 che interviene a modificare la precedente n. 2019/1937 e il Regolamento UE 2023/2859, ha come scopo quello di prevenire e porre fine alla violazione dei danni ambientali e dei diritti umani da parte delle imprese, imponendo alle stesse una due diligence lungo tutta la filiera di valore.
Più in dettaglio, la direttiva impone alle imprese destinatarie delle norme:
- obblighi rispetto agli impatti negativi sui diritti umani e agli impatti ambientali negativi, siano essi effettivi o potenziali, che incombono alle società nell’ambito delle proprie attività, delle attività delle loro filiazioni e delle attività svolte dai loro partner commerciali nelle catene di attività di tali società;
- responsabilità sulle violazioni dei suddetti obblighi; e
- obblighi che incombono sulle società di adottare e attuare un piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici volto a garantire, con il massimo impegno possibile, la compatibilità del modello e della strategia aziendali della società con la transizione verso un’economia sostenibile e con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 oC in linea
con l’accordo di Parigi.
Destinatarie di tali obblighi sono le imprese che rientrano nei seguenti parametri:
- avere avuto, in media, più di 1 000 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale superiore a 450 000 000 EUR nell’ultimo esercizio per il quale è stato o avrebbe dovuto essere adottato il bilancio d’esercizio;
- pur senza raggiungere i limiti minimi di cui alla lettera a), essere la società capogruppo di un gruppo che ha raggiunto tali limiti minimi nell’ultimo esercizio per il quale è stato o avrebbe dovuto essere adottato il bilancio d’esercizio consolidato;
- aver concluso o essere la società capogruppo di un gruppo che ha concluso accordi di franchising o di licenza nell’Unione in cambio di diritti di licenza con società terze indipendenti, qualora tali accordi garantiscano un’identità comune, un concetto aziendale comune e l’applicazione di metodi aziendali uniformi, e qualora tali diritti di licenza ammontassero a più di 22 500 000 EUR nell’ultimo esercizio in cui è stato adottato o avrebbe dovuto essere adottato il bilancio annuale, e a condizione di aver registrato o di essere la società capogruppo di un gruppo che ha registrato un fatturato netto a livello mondiale superiore a 80 000 000 EUR nell’ultimo esercizio in cui è stato adottato o avrebbe dovuto essere adottato il bilancio annuale.
La direttiva si applica, inoltre, alle imprese costituite in conformità della normativa di un paese terzo e che raggiungono le stesse soglie di fatturato di cui sopra previste per le imprese europee.
Le imprese destinatarie sono chiamate, in buona sostanza, ad integrare nella propria organizzazione un’analisi dei rischi e degli impatti negativi effettivi o potenziali che la propria attività può avere sui diritti umani e sull’ambiente e, mediante tale analisi, provvedere alla mappatura dei suddetti rischi e intervenire con azioni mirate al fine di prevenirli, arrestarli o mitigarli.
Si chiede, dunque, alle imprese di mettere a punto un piano d’intervento con azioni periodiche, adottando misure adeguate tese alla riduzione del rischio individuato e di monitorare l’efficacia di tale piano e, laddove necessario, intervenire con modifiche idonee per migliorarlo, al fine di raggiungere l’obiettivo ultimo dell’eliminazione del rischio o, se ciò non fosse possibile, alla sua riduzione.
La direttiva chiede, pertanto, alle imprese di integrare questo ulteriore dovere di diligenza nelle politiche e nei sistemi di gestione delle società e agli Stati membri di prevedere norme che consentano di controllare che tali obblighi siano rispettati.
Si tenga presente che, nonostante le norme della direttiva si rivolgano direttamente alle grandi aziende, anche le piccole e medie imprese, che intervengono nella filiera in qualità di fornitori o partners commerciali, potrebbero essere chiamate ad integrare nella propria politica un piano d’azione teso a valutare e ridurre i rischi delle proprie attività connessi agli impatti ambientali e alla violazione dei diritti umani.
Il provvedimento europeo, in verità, si sofferma espressamente su tale aspetto, prevedendo che le società, espressamente destinatarie delle norme, richiedano ai loro fornitori e partners commerciali garanzie contrattuali in tal senso, accompagnate da misure adeguate di verifica della conformità, precisando che, qualora il partners commerciale o il fornitore sia una PMI, vengano individuate condizioni contrattuali eque, ragionevoli e non discriminatorie.
Tuttavia, qualora il partners commerciale o il fornitore non si adeguino e non intervengano a ridurre i rischi individuati dall’analisi, la società destinataria è tenuta a valutare la sospensione e, nel caso, la cessazione del rapporto d’affari.
Si stabilisce, infine, che le società destinatarie offrano il proprio sostegno mirato e proporzionato ai propri partners e ai propri fornitori, tenendo presenti le risorse, le conoscenze e i vincoli della PMI interessata, anche fornendo o consentendo l’accesso allo sviluppo delle capacità, alla
formazione o al potenziamento dei sistemi di gestione e, qualora il rispetto del codice di condotta o del piano d’azione in materia di prevenzione, ne comprometta la sostenibilità economica, offrendo sostegno finanziario mirato e proporzionato, ad esempio finanziamenti diretti, prestiti a tasso agevolato, garanzie di approvvigionamento continuo o assistenza nell’ottenere finanziamenti.